Saturday, October 3, 2009

Strasfracellato

L'altroierisera sono andato a cena fuori e poi al cinema: seratona.
Dato l'orario e dati i sempre-meno-cinema-in-centro, c'era modo di vedere solo l'ultimo film di Michele Placido, Il grande sogno, che non mi ispirava per niente, ma siccome una seratona è una seratona e soprattutto ultimamente è rara, il rituale contempla il cinema e così Placido fu.
Ora, in linea di principio, sono contro le mega-multi-sala di periferia, ma: primo, ho rimpianto per tutto il film le loro enormi e comode poltrone con il portabibite, agitandomi sulla sedia come un ossesso, senza trovare una posizione comoda; secondo, se ci fossi andato avrei potuto vedere Woody Allen o, per esclusione, Tornatore; Tarantino sarebbe uscito solo il giorno dopo; insomma, avrei evitato Placido.
Ma tralasciamo il fatto che il film non mi sia piaciuto: in fondo non ero ben disposto, non sentivo preventivamente la necessità dell'ennesimo film sul '68 anche se - eccezionalmente! - visto dal punto di vista del poliziotto un po' pasoliniano, un po' sciupafemmine.
La questione, in effetti, è secondaria.
Quello che mi preme scrivere - son due giorni che mi rimbomba in testa - è la frase di un uomo - cito la Soncini - "di una tale clamorosa lucidità, di una tale inarrivabile saggezza, di una tale totale totalità", che voglio provare il gusto di scriverla anche io, grande e in grassetto:

il '68 ci ha strasfracellato i coglioni!

Oh!
La penso così.
Non ne posso più.
Addio dialettica. Chiuso.
Dovunque mi giri vedo i rottami (cose e persone) di quell'epoca di grandi inquietudini e se ci ripenso conosco meglio quegli anni di quelli della mia adolescenza.
Non basta mica essere coetanei dei Beatles per essere bravi!
Mi va bene che se ne parli come sotto, altrimenti no, grazie.

Sebastiano Vassalli, Archeologia del presente: "Finita l'esperienza scolastica, nell'ottobre del 1971 entrai come praticante nello studio dell'architetto Augusto Marinetti: che era stato un protagonista, a ***, di quella «speculazione edilizia» degli anni Cinquanta e Sessanta, a cui avevo dedicato la mia tesi di laurea e che aveva fatto crescere la città in modo caotico, seguendo gli interessi dei privati.
Marinetti [...], comunque, non pensava altro che ai soldi; e me lo disse chiaramente quando mi chiamò per farmi il discorsetto che faceva a tutti i nuovi arrivati. «Noi architetti, - mi disse in quella circostanza, - per lavorare in questo paese dobbiamo andare d'accordo con gli uomini che governano a Roma e con quelli che governano qui; e poi, nei limiti del possibile, dobbiamo andare d'accordo anche con i rappresentanti dell'opposizione. Il nostro unico ideale è il profitto [...]».
Ricordo anche che mi disse: «Forse, all'Università, ti sei fatto chissà quali idee sulla nostra professione. Levatele dalla testa. Non c'è niente di più lontano dall'utopia, e di più vicino ai soldi, del lavoro dell'architetto. I castelli in aria li fanno i poeti, gli scienziati, i professori, gli avvocati, i politici... Tutti, tranne noi! Noi facciamo castelli per terra: palazzi per uso pubblico o per uso privato, condominii, ville, e li facciamo con i soldi dei nostri committenti. La nostra è la professione più concreta che esista, perchè è basata sui soldi».
In quello stesso periodo conobbi Alessandra, la ragazza che sarebbe diventata mia moglie; e dopo poche settimane lasciai la casa dei miei genitori per andare a vivere con lei in un appartamento del centro storico di ***, praticamente privo di mobili. Anche questo fatto contribuì ad allontanarmi dalle smanie rivoluzionarie degli anni in cui ero stato studente. Passavo le giornate davanti al tavolo da disegno, a tirare righe e righe. Ero poverissimo, e i guai degli altri mi interessavano sempre meno, perchè dovevo far fronte ai miei guai personali. (I veri poveri pensano a se stessi. Sono gli altri, i benestanti, che vorrebbero fargli fare la rivoluzione)".

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